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Il postulato
delle parallele
La stampa ha recentemente dato spazio
in modo ambiguo al postulato delle parallele (quinto postulato di Euclide).
L'asserzione del postulato è indimostrabile, o meglio indipendente
dagli altri quattro postulati, e caratterizza pertanto la geometria euclidea.
Sostituendo il postulato con uno degli altri due contrari, come è stato fatto nel XIX secolo, si costruiscono nuove geometrie, non euclidee.
In una forma più famosa e semplice, equivalente
a quella originaria presente nel Libro I degli Elementi, il postulato
delle parallele stabilisce che per un punto non appartenente a una retta
passa una e una sola retta parallela alla retta data. Il carattere di
tale asserzione si differenzia nettamente da quello degli altri quattro
postulati. Essi affermano, nell’ordine, che: 1) per due punti distinti
passa una retta; 2) ogni segmento si può prolungare indefinitamente;
3) si può tracciare, su un dato piano, una circonferenza di centro
e raggi arbitrari: 4) tutti gli angoli retti sono uguali.
Nella trattazione assiomatica della geometria i postulati si accettano
come veri e non richiedono alcuna dimostrazione, e da essi si derivano
gli altri teoremi; tuttavia, mentre i primi quattro postulati di Euclide
sono evidenti di per sé, perché si riferiscono a porzioni
limitate di rette e piani e sono pertanto verificabili sperimentalmente,
non è così per il postulato delle parallele, perché
la verifica che due rette non si intersecano mai andrebbe fatta su una
distanza infinita (all’interno di una parte limitata di piano, per
quanto grande, esistono molte rette passanti per un punto che non intersecano
una retta data). Per secoli i matematici hanno tentato di far derivare
il postulato delle parallele dagli altri quattro, nella convinzione che
fosse una conseguenza logica di questi ultimi, ossia che potesse elevarsi
al rango di teorema, ma invano. Se fosse stato possibile, si sarebbe estesa
la verità locale della geometria euclidea a tutto lo spazio.
L’indipendenza del postulato delle parallele, dimostrata nel XIX
secolo, porta alla conclusione che la geometria euclidea non è
l’unica possibile, ossia che esistono geometrie in cui il postulato
non vale. Nella
geometria iperbolica, o di Lobacevskij, si postula che da ogni punto escono
infinite parallele a una retta data, mentre nella geometria ellittica,
o di Riemann, si postula la non esistenza di parallele: la somma degli
angoli di un triangolo, che nella geometria euclidea è di 180°
(esempio a destra nella figura a fianco), nella geometria iperbolica è
minore di 180° (esempio al centro) e in quella ellittica è
maggiore (esempio a sinistra). Nella teoria della relatività generale
di Einstein lo spazio-tempo è descritto localmente da una geometria
ellittica, con la curvatura determinata dalla presenza di materia. In
questa geometria le rette sono finite e chiuse, e due rette sono sempre
incidenti (in due dimensioni si può immaginarla descritta dalla
superficie di una sfera, in cui ogni retta è definita come un cerchio
massimo della sfera).
Per la descrizione dell’Universo nel suo insieme nessuna decisione
può essere presa sulla base dell’esperienza riguardo a quale
di queste geometrie si adatti meglio. Localmente, cioè per distanze
di pochi milioni di chilometri, esse si equivalgono, e la scelta di adottarne
una piuttosto che un’altra è del tutto convenzionale e ricade
sulla geometria euclidea per la sua maggiore semplicità di trattazione.
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